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Chi non ha mai esclamato la frase: “E poi, come è andata a finire!?”.
Ecco, la storia che ti sto per raccontare fa parte proprio di quel gruppo lì: e poi!?.
Sinceramente non so perché a distanza di anni i miei amici continuino a chiedermi di raccontare questa storia. Sarà il fascino del fuoco durante un falò, il bicchiere colmo di vino durante una cena, comunque sia il calore della mia storiella fa sempre piacere e proprio per questo va impostata in un certo modo…
13 11 2013 — Quando tutto ebbe inizio
Erano le 7 e dieci di una mattina di novembre e come al solito mi dirigevo in ufficio che a quei tempi distava più o meno una decina di km da casa. Vivevo ancora a Latina.
Ricordo che quel giorno il sole stentava ad alzarsi e l’unica luce certa veniva dai lampioni ancora accesi che fendevano la nebbia con quel giallo ambra alternato ad attimi di buio; un classico per le vie della pianura pontina.
Sulla strada che percorrevo a quell’ora si vedevano solo pendolari e camionisti, non di più; chi voleva un certo genere di compagnia doveva attendere le otto mentre il mio cappuccino caldo insieme al cornetto alla cioccolata mi stavano già aspettando.
Mentre mi dirigevo verso il bar, vidi fermo sul ciglio della strada un uomo che si stava sbracciando. Insolito a quell’ora.
La sua macchina di grossa cilindrata era ferma vicino il guard rail e lui pareva un distinto uomo d’affari; vestiva uno spezzato, la cravatta allentata intorno al collo – sinonimo di ore piccole – e orologio d’oro al polso. Decisi di fermarmi per far salire il tale che subito mi ringraziò del gesto – figuriamoci, un po’ di compagnia non guastava.
Dopo un breve resoconto sul perché la sua macchina si fosse fermata e di quanto, di contro, fosse affidabile la mia vettura dagli occhi a mandorla, esordì dicendo:
“Non mi hai riconosciuto vero?”.
“Sinceramente no”, dissi.
Capirai, l’unica cosa che il mio cervello riusciva ad elaborare era il suono delle tazze di ceramica prese da sopra la macchina del caffè nei bar.
Accennò un sorriso.
“Sono Silvan, il mago!”.
Ricambiai il sorriso bilanciando la mia ignoranza con un: “Maestro! Scusi il mio occhio poco attento”.
Rise.
“Sai sono di ritorno da uno spettacolo di magia dalle tue parti. Ebbene stavo ripartendo per la Capitale e proprio su questa strada, ecco, la mia macchina mi ha lasciato a piedi, ah ah”. Era una delle poche volte che non lo vidi gesticolare con i polsi come al suo solito. Gli intercalari però erano inequivocabili.
Mentre guidavo, con la coda dell’occhio notai che mi stava osservando. Ad un tratto mi disse: “Bell’orologio, posso vederlo?”.
Mi slacciai l’Hamilton Khaki preso in prestito dal comodino di mio padre.
Lo osservava, poi mi chiese di abbassare il finestrino, aveva caldo.
Caldo con sette gradi fuori? Bah.
Ad un tratto mi guardò fisso e disse: “Ci tieni molto al tuo orologio?”. Dalla bocca mi uscì un sorrisino accompagnato da un gemito sarcastico.
Neanche il tempo di accennare una risposta che lo buttò dall’auto in corsa.
“Ma che sei scemo?!”. Passai subito a dargli del tu. Fermai velocemente la macchina a bordo strada lo esortai a scendere per andare a prendere l’orologio rotolato a pezzi chissà dove.
“Lascia perdere l’orologio, andiamo al bar”.
La mia ben nota vena sulla tempia incominciava ad ingrossarsi.
“Ma quale bar, ora scendi e lo ritrovi, altrimenti rimani giù e te la fai a piedi!”.
“Vai al bar, fidati!” replicò.
Con una smorfia sulla bocca e un boh, questo è totalmente cretino in corpo, mi diressi al bar conscio del fatto che una persona del genere non sarebbe mai scappata.
“Un caffè per me e un cappuccino e cornetto alla cioccolata per il ragazzo!”.
“Ma che cappuccino e cornetto, Simsalabim ora andiamo indietro e recuperiamo quel cazzo d’orologio!”. Ma lui, come se non avesse sentito, mi passò il cappuccino, prese il cornetto e, guardandomi negli occhi lo aprì a metà…
Indovina che c’era dentro quel cacchio di cornetto?
CREMA!
Dopo aver raccontato questa storia alcune persone rimangono a bocca aperta, ma tutte e dico tutte mi chiedono:
“Ma alla fine l’orologio?”.
Perché secondo te c’è questa reazione?
Morale della favola – Eh sì perché c’è anche una morale.
Le storie battono di gran lunga le informazioni. Sono come una droga.
Se le informazioni sono incomplete lo accettiamo. Se una storia è incompleta, ci fa diventare pazzi!
Quindi scrivi delle storie ma non lasciare mai il tuo pubblico con un dubbio in testa. Non fare come quei registi che sfornano film senza finale. Pensano di fare gli originali lasciando al pubblico l’arduo compito di decifrare la loro storia, in realtà l’audience non vuole pensare, vuole ricevere la soluzione. Solo dopo la comparerà con la propria idea di finale.
Comunque il cornetto era buono, anche alla crema.